Claudia Colliva

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Nel girone dei braccianti uccisi dalla fatica e dal caldo

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Sono le 2 di pomeriggio di venerdì 9 giugno. Un gruppo di ragazzi è chino sul terreno, raccoglie asparagi mentre il capo riposa su un trattore. Pochi chilometri più avanti, un altro gruppo ripete gli stessi movimenti meccanici, a fatica. Nonostante l’estate non sia ancora iniziata, il caldo si fa già sentire. Non c’è traccia di acqua a loro disposizione. Solo cassoni di asparagi da riempire, senza guanti o scarpe adeguate. Stringere i denti e tenere duro fino al rientro a casa, in una delle baraccopoli che compongono il ghetto di Borgo Mezzanone, il più grande insediamento informale d’Europa.

Siamo in Puglia, nella provincia di Foggia. Nelle abitazioni del ghetto, costruite con lamiera, blocchi di cemento e plastica, risiedono circa 4mila persone. Quasi tutti sono braccianti agricoli che si guadagnano da vivere nei campi della Capitanata. Sotto il sole cocente, con temperature che nei mesi estivi sfiorano spesso i 40 gradi, raccolgono frutti e verdure che andranno a riempire gli scaffali dei supermercati europei. Guadagnano tra i 3 e i 5 euro all’ora. Molti non hanno un contratto. Alcuni, nei campi, ci lasciano la vita.

In Italia di agricoltura si muore

Secondo l’Asl di Foggia, l’estate scorsa, nella provincia, sono morte due persone mentre lavoravano nei campi per cause riconducibili a un colpo di calore. La Flai-Cgil sostiene che, su tutto il territorio italiano, siano state almeno 5 le morti sul lavoro di braccianti agricoli causate dal caldo. Secondo Hakim, originario del Ghana, la raccolta del pomodoro è la più mortale. 

«È come un campo di battaglia,» racconta, «tutti lottano.» Seduto in un bar di Borgo Mezzanone, guarda sconcertato le sue mani indurite da anni di lavoro. «Il pomodoro è terribile,» prosegue, «lavoriamo direttamente sotto il sole… quando andiamo lì al mattino, usiamo tutta la forza che Dio ci ha dato.» È consuetudine venire pagati a cassone, invece che a ora, spiega Hakim, e quindi si fanno sforzi disumani per guadagnare qualche euro in più, accettando i danni alla propria salute. Daniele Iacovelli, presidente della Flai di Foggia, conferma la presenza diffusa di questa pratica retributiva. «Mosche bianche,» definisce gli imprenditori che hanno a cuore la salute dei lavoratori.

Benché il settore agricolo Italiano conti 900mila lavoratori, non esistono dati aggregati sulle loro condizioni di salute, né sull’impatto che possa avere su di esse il duro lavoro che svolgono. Attualmente risulta anche impossibile quantificare quanti lavoratori siano stati vittime di infortuni o abbiano perso la vita per via del caldo. Ad ammetterlo è Ester Rotoli della Direzione centrale di prevenzione dell’Inail, spiegando che gli incidenti sul lavoro riconducibili allo stress termico non vengono quasi mai classificati come tali, piuttosto come mancamenti, cadute o simili. 

Tuttavia, già nel 2019, uno studio epidemiologico pubblicato da Inail evidenziava una “associazione significativa” tra le alte temperature e l’aumento degli incidenti sul lavoro nel settore agricolo. Non solo: il team di ricerca ha dimostrato che lavorare a certe temperature comporta gravi conseguenze per la salute, rimarcando l’importanza dell’idratazione e delle pause. I braccianti, però, raramente vi hanno accesso. 

La vita tra i campi e un container di lamiera

«Per gli italiani sì, ma non per gli africani,» dice Moussa, citando ciò che gli è stato ripetuto più volte quando chiedeva una pausa. È arrivato in Italia dal Mali nel 2008. L’estate scorsa ha fatto la raccolta dell’uva nel foggiano. Secondo la legge, i suoi turni non avrebbero dovuto superare le 6 ore e 40 minuti, ma spesso ha dovuto lavorarne anche più di 8. L’unica acqua alla quale aveva accesso era quella che riusciva a portare con sé da casa. A quanto attestano i braccianti, questa pratica è prassi nei campi. 

Moussa ha circa 35 anni. La prima volta che lo incontriamo è dicembre del 2022, a poche settimane dal Natale. Gli piace il panettone ed è tifosissimo dell’Inter. Nonostante il Napoli sia in vantaggio, pensa che la sua squadra ce la possa fare a vincere la Seria A. Pensa anche che tra poco, forse, riuscirà ad andarsene da Borgo Mezzanone.

«Qui fa molto caldo,» dice Hakim. «È come nel deserto africano… e molte delle nostre case sono fatte di metallo… È impossibile viverci.» In tutto Borgo Mezzanone, l’unica abitazione dotata di aria condizionata è quella di Moussa. Questo, almeno, è quanto sostiene lui, che è molto orgoglioso del suo condizionatore. È arrugginito e mezzo rotto, ma mantiene la sua casa, un container di lamiera, qualche grado più fresca di quelle dei vicini. «Tutti gli altri» dice, «non possono stare in casa d’estate.»

Jean René Bilongo, Presidente dell’Osservatorio Agromafie Flai-Cgil, definisce Borgo Mezzanone un “hotel a tre stelle” in confronto agli altri insediamenti informali d’Italia. Ce ne sono almeno 150 su tutto il territorio e sono all’incirca in 10mila a vivere al loro interno. Meno della metà degli insediamenti è fornito di acqua potabile o elettricità. Solo il 25 per cento dispone di servizi igienici. Quasi tutti gli abitanti sono braccianti agricoli.

Il silenzio della politica

L’estate scorsa, grazie a una forte pressione sindacale, tre regioni Italiane, tra cui la Puglia, hanno vietato il lavoro agricolo nelle ore più calde (12:30-16:30). Alcuni braccianti, incluso Moussa, affermano però di aver lavorato anche quando era illegale farlo. Quest’anno, l’ordinanza potrebbe non arrivare proprio, o almeno così pare, vista la mancata comunicazione delle regioni. 

A livello nazionale, il Ministero del lavoro aveva firmato un piano nel 2022 attraverso il quale sanciva l’impegno a implementare strategie contro lo sfruttamento nel mondo agricolo. Tra queste la proposta di modifica del Testo Unico di Immigrazione affinché includesse protezioni per i lavoratori migranti. Ad aprile, il governo Meloni ha apportato alcune modifiche al piano. In primis, l’inserimento del Ministro Salvini nel comitato dedicato al lavoro nero. «Una sorta di commissariamento della Lega», lo definisce Bilongo dell’Osservatorio Agromafie. Il piano, poi, è stato reso più snello: la sezione dedicata ai lavoratori migranti è stata abrogata.

Nel frattempo, i braccianti continuano a rischiare la vita per guadagnarsi da vivere, sperando in nuove opportunità date dai fondi del PNRR. Dei 200 milioni disposti per lo smantellamento degli insediamenti informali, ​​il comune di Manfredonia ne ha 53 per costruire un’alternativa a Borgo Mezzanone. La scadenza per presentare il progetto era il 30 giugno. Per ora non c’è traccia di alcun aggiornamento. Hakim è scettico: «È una cosa per cui abbiamo insistito a lungo», dice, «come possiamo fidarci che adesso spendano anche solo un euro per noi?».

Un futuro incerto 

Mentre chi resta indietro attende, i pochi che riescono vanno via. Moussa è uno di questi. L’11 febbraio se ne è andato da Borgo Mezzanone. Ha trovato lavoro come saldatore. Ha un contratto e un appartamento. È felice. Quando il 3 giugno torniamo a Foggia per coincidenza è lì anche lui. In auto diretti a Borgo Mezzanone guarda i campi dove lavorava scorrere fuori dal finestrino e con fare rassegnato dichiara: «cara Foggia… non cambi mai.» 

Come prevedibile, torniamo a parlare di calcio. «Alla fine ha vinto il Napoli,» lo prendiamo in giro, «però forse l’Inter vince la Champions.» Lui sorride e tira fuori dallo zaino una piccola cornice di legno. Al suo interno c’è una foto dell’Inter di Mourinho, quello del Triplete, gli undici titolari immortalati prima della finale del 2010. «Sono tornato a Foggia a prenderla,» spiega, «la porto sempre con me.» Una settimana dopo, mentre i giocatori dell’Inter si preparano alla sfida contro il City, arriva un suo messaggio. Due parole: «Ciao, vinceremo?». 

L’Inter ha perso uno a zero. Però Moussa, forse, qualcosa è finalmente riuscito a vincere da quando è in Italia. Ci ha messo quindici anni per uscire da Borgo Mezzanone. Però ce l’ha fatta. E sembra un’impresa difficile quasi quanto vincere una Coppa dei Campioni. In tanti, tantissimi, non ci riescono.

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